Conciliazione giudiziale
La conciliazione giudiziale, regolata dall’articolo 185 del codice di procedura penale, offre un mezzo per le parti coinvolte di risolvere la controversia grazie all’intervento del giudice.
Questo processo porta alla composizione della lite attraverso una convenzione concordata. Secondo la normativa, il giudice è tenuto a convocare personalmente le parti e ad organizzare un’udienza dedicata, se entrambe le parti lo richiedono, al fine di interrogarle e favorire la conciliazione.
Il giudice ha la facoltà di avviare la conciliazione autonomamente, ma diventa obbligatorio se entrambe le parti lo richiedono. Alla conclusione del procedimento di conciliazione, se le parti raggiungono un accordo, viene redatto un verbale che assume valore di titolo esecutivo.
Proposta di conciliazione del giudice
L’istituto della proposta transattiva o conciliativa da parte del giudice, che è stato introdotto nel 2012, offre un’opportunità per una rapida risoluzione della controversia. Durante la prima udienza e fino al termine dell’istruzione della causa, il giudice può formulare questa proposta alle parti coinvolte. Questa proposta deve tener conto della natura della causa, del valore della controversia e delle questioni che possono essere risolte facilmente.
L’obiettivo è quello di promuovere una soluzione immediata della disputa, riducendo così i tempi e i costi associati al processo giudiziario. La proposta formulata dal giudice viene quindi inserita nella parte dedicata al dispositivo del verbale d’udienza, offrendo così una base per la risoluzione della controversia. Questo strumento rappresenta un’ulteriore opzione per favorire la conciliazione tra le parti e ridurre il carico del sistema giudiziario.
Ambito di applicazione
La possibilità per il giudice di formulare proposte transattive e conciliative si estende a diversi tipi di procedimenti giudiziari. In particolare, questa pratica è comune nei giudizi ordinari di cognizione che riguardano controversie relative a diritti disponibili, così come nei giudizi svolti secondo le forme del rito del lavoro. Tuttavia, la discrezionalità del giudice nel formulare proposte conciliative si applica anche ad altri contesti giudiziari.
Ad esempio, nei procedimenti camerali, nei giudizi sommari di cognizione e nei procedimenti cautelari, il giudice può decidere di proporre una soluzione conciliativa. Questo amplia il campo di applicazione della conciliazione come strumento per la risoluzione delle controversie. Prima del 2013, la pratica della proposta transattiva o conciliativa da parte del giudice era obbligatoria fino al termine dell’istruzione della causa o alla prima udienza. Il giudice era tenuto a formulare questa proposta alle parti coinvolte, e il loro rifiuto senza giustificato motivo poteva essere considerato nel giudizio.
In quel periodo, non vi era alcuna disposizione che richiedesse al giudice di valutare preventivamente le caratteristiche della causa prima di formulare la proposta conciliativa, come invece avviene con la normativa attuale. Questo cambiamento nella prassi ha introdotto una maggiore flessibilità nel processo conciliativo, consentendo al giudice di considerare meglio le specificità della controversia prima di avanzare una proposta di conciliazione.
Natura giuridica della proposta conciliativa
La conciliazione è un negozio giuridico trilaterale, poiché coinvolge tre soggetti: le due parti in causa e il giudice. Quest’ultimo svolge un ruolo fondamentale nell’aiutare le parti a raggiungere un accordo.
È il terzo intervenuto che facilita la negoziazione e favorisce il raggiungimento di una soluzione concordata. È importante notare che il giudice, oltre ad assistere nel processo di conciliazione, formalizza l’accordo raggiunto tra le parti, conferendogli quindi lo status di atto pubblico. Questo conferisce al patto una maggiore autenticità e vincolatività, garantendo che sia legalmente riconosciuto e applicabile.
Limiti temporali per la formulazione della proposta conciliativa
Il potere del giudice di formulare proposte transattive e conciliative è limitato temporalmente alla fase dell’istruzione del processo. Questo significa che il giudice può proporre una conciliazione durante la prima udienza, durante la trattazione della causa o durante la fase di istruzione.
Tuttavia, una volta che l’istruttoria è esaurita e chiusa, il giudice perde il potere di formulare una proposta conciliativa. Questa regola ha una specifica ragion d’esistere: è durante queste fasi che è possibile proporre una conciliazione in modo sufficientemente specifico e dettagliato. Durante l’istruzione, infatti, il giudice ha familiarità con i dettagli del caso e può valutare meglio le possibilità di conciliazione.
Una volta chiusa questa fase, la complessità del processo e la quantità di informazioni disponibili possono rendere più difficile formulare una proposta conciliativa efficace. Pertanto, il limite temporale al potere del giudice di formulare proposte conciliative riflette la necessità di offrire alle parti un’opportunità di conciliazione in un momento in cui è più probabile che sia efficace e soddisfacente per entrambe le parti.
Rinnovazione del tentativo di conciliazione
Il tentativo di conciliazione è soggetto a discrezionale rinnovo da parte del giudice. Tuttavia, tale rinnovazione è ammessa solo nella fase istruttoria e non oltre la rimessione della causa al collegio.
Trattandosi di un giudizio di mera legittimità e non sul fatto, nel giudizio dinnanzi alla corte di cassazione è invece esclusa la possibilità di rinnovare la proposta conciliativa. Un eventuale accordo delle parti raggiunto autonomamente in tale fase del giudizio ne comporterà l’estinzione per cessazione della materia del contendere.
A tal fine, è richiesta l’emanazione di una apposita ordinanza di cancellazione della causa dal ruolo oppure una formale dichiarazione di estinzione del giudizio in corso.
L’accordo tra le parti
Quando le parti del processo accettano la proposta conciliativa del giudice, il Tribunale può dichiarare estinto il giudizio. In tal modo, l’accordo conciliativo raggiunto viene ufficialmente riconosciuto e ratificato. Se questo accordo viene documentato nel verbale di udienza, assume il valore di un titolo esecutivo.
Ciò significa che l’accordo ha pieno valore legale e può essere eseguito come un ordine giudiziario, consentendo alle parti di far valere i propri diritti in base a quanto concordato di fronte alle autorità competenti.
Conciliazione e mediazione obbligatoria
L’accoglimento delle parti della proposta conciliativa può essere subordinato, dal giudice, ad un termine decorso il quale, in caso di mancato accordo, deve essere esperito il procedimento della mediazione ponendo l’onere dell’avvio della procedura a carico della parte più diligente e avvisando entrambe le parti che, per l’effetto, il tempestivo esperimento del tentativo di mediazione sarà condizione di procedibilità della domanda giudiziale.
Scopo della proposta conciliativa
La proposizione di una conciliazione rappresenta uno strumento cruciale che consente al giudice di anticipare la decisione finale, contribuendo così a alleviare il carico giudiziario nei tribunali. Offrendo alle parti coinvolte l’opportunità di risolvere la controversia attraverso un accordo negoziato, la conciliazione permette di evitare il protrarsi di un processo giudiziario completo. Questo non solo consente di risparmiare tempo e risorse per il sistema giudiziario, ma anche per le parti coinvolte, riducendo i costi associati a una procedura legale prolungata. Inoltre, la conciliazione può spesso portare a una soluzione più soddisfacente per tutte le parti rispetto a una decisione imposta dal tribunale, promuovendo così la collaborazione e la risoluzione pacifica delle dispute.
Rifiuto della proposta conciliativa
Proprio per l’importanza rivestita dal ruolo deflattivo dell’istituto, sebbene le parti non siano tenute ad accettare la proposta giudiziale, qualora i criteri delineati con il provvedimento del giudice sono sostanzialmente confermati in sentenza deve ritenersi che alla parte che ha rifiutato la proposta possa addebitarsi una responsabilità processuale avendo, di fatto, causato il prolungamento dei tempi del giudizio con l’inutile protrazione della controversia e lo svolgimento di una attività istruttoria che si sarebbe potuta evitare. Questo significa che solo se il rifiuto della proposta conciliativa potrà dirsi sorretto da giustificato motivo, allora non vi saranno conseguenze per la parte. In caso contrario, la parte sarà condannata alla refusione delle spese maturate dopo la formulazione della proposta.
La previsione ragionevole di ottenere un risultato economico più vantaggioso dalla pronuncia del giudice può essere considerata un giustificato motivo per il rifiuto della proposta conciliativa. Tuttavia, si tratta di un’ipotesi rara poiché, di solito, il giudice cerca di formulare una proposta che sia più vantaggiosa per le parti rispetto alla prosecuzione del giudizio.
Questo significa che la proposta conciliativa spesso include vantaggi che potrebbero non essere ottenuti attraverso una decisione giudiziaria. Inoltre, il processo di conciliazione mira a trovare un accordo che soddisfi entrambe le parti coinvolte, quindi il giudice può incoraggiare un compromesso equo e ragionevole. Tuttavia, è importante riconoscere che in alcuni casi le parti potrebbero valutare che i potenziali benefici derivanti da una decisione giudiziaria siano superiori a quelli offerti dalla conciliazione, e in tal caso il rifiuto della proposta conciliativa potrebbe essere giustificato.
Conciliazione giudiziale nelle controversie tributare
La conciliazione giudiziale può essere utilizzata in tutte le controversie tributarie, sia in primo che in secondo grado, anche se si verificano dopo il rigetto dell’istanza di reclamo o dopo che un accordo di mediazione non è stato concluso con successo.
Questo strumento può essere proposto da diverse parti e in particolare
– dalla Commissione tributaria stessa, che può suggerire alle parti coinvolte di tentare la conciliazione;
– dalle parti stesse coinvolte nella controversia, che possono essere il contribuente, l’Agenzia delle Entrate, l’Ente locale o l’agente della riscossione.
Il tentativo di conciliazione non è vincolante. Ciò significa che se il contribuente tenta di raggiungere un accordo e non ci riesce, può comunque proseguire con il contenzioso tributario. Questa flessibilità offre alle parti coinvolte la possibilità di esplorare l’opzione della conciliazione senza il rischio di essere obbligati a un accordo che non ritengono vantaggioso. In definitiva, la conciliazione giudiziale rappresenta un’opportunità per cercare una soluzione alternativa alle controversie tributarie, garantendo al contempo la libertà di perseguire il ricorso giudiziario se necessario.
Per avvalersi della conciliazione giudiziale fuori udienza, le parti coinvolte, eventualmente assistite dai loro difensori legali, devono presentare un’istanza congiunta sottoscritta. Questa istanza ha lo scopo di definire totali o parzialmente la controversia in questione. Se la data di trattazione è già stata fissata, la Commissione tributaria, previa verifica delle condizioni di ammissibilità, deve emettere una sentenza che dichiari la cessazione della materia del contendere, qualora le condizioni lo permettano.
Se l’accordo raggiunto è solo parziale, la Commissione emetterà un’ordinanza riguardante solo quella parte della controversia, procedendo con la trattazione della causa per la parte rimanente non coperta dall’accordo. Se la data di trattazione non è ancora stata fissata, il presidente della sezione competente provvederà con un decreto.
La conciliazione giudiziale in udienza può essere proposta da ciascuna delle parti entro dieci giorni liberi prima della data di trattazione, riferibile sia al primo che al secondo grado, con istanza di trattazione in pubblica udienza; dalla commissione in udienza la quale, sussistendo le condizioni di ammissibilità, invita le parti a conciliarsi, rinviando eventualmente la causa alla successiva udienza per il perfezionamento dell’accordo. In caso di raggiungimento dell’accordo e valutatane la legittimità, il Collegio deve redigere il processo verbale nel quale vengono indicate tutte le somme dovute a titolo di imposta, sanzioni e interessi, nonché i relativi termini e le modalità di pagamento. Il processo verbale costituisce titolo valido per procedere alla riscossione delle somme. A seguito dell’avvenuta conciliazione, la Commissione Tributaria dichiara, con sentenza, l’estinzione del giudizio per cessata materia del contendere.
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